Mille parole e ancora cento e dopo ancora mille sono state pronunciate e scritte sui vini dell’Azienda Gravner, ma sempre personali e intime restano le sensazioni anzi, le emozioni che ciascuno porta con sé dopo aver ascoltato una storia che, ormai qualche anno fa, segnò l’inizio di un percorso difficile per molti versi, tortuoso nella sua definizione ma certamente nitido nella sua conclusione.
Josko Gravner è sempre stato considerato un visionario, all’inizio della sua svolta vinicola e per molti lo è ancora oggi… La sua azienda si trova a Oslavia, piccola frazione di Gorizia, sull’immediato confine sloveno, cioè sulla Brda, a metà strada tra l’Adriatico e le Alpi Giulie. La casa degli avi risale a 300 anni fa, acquistata dalla famiglia Gravner nel 1901, distrutta dal terremoto del 1976 è stata ricostruita e poi nuovamente ristrutturata per riportarla a quella essenzialità fondamentale per Josko Gravner.
La località in cui si trova si chiama Lenzuolo bianco, perché durante la 1° Guerra mondiale, in quella zona di tragici eventi era l’unica rimasta in piedi, aveva mura bianche e i soldati sparavano dal Monte Sabotino pensando alla parete, unico punto di riferimento quasi come fosse un lenzuolo steso.L’azienda Gravner possiede trentadue ettari di terra, di cui quindici vitati cui se ne aggiungeranno altri tre a breve. Il resto è coperto da boschi, stagni e prati. L’obiettivo è mantenere un ambiente naturale il più possibile incontaminato. Infatti, sono state eliminate tutte le sostanze chimiche, oltre a non utilizzare in cantina pressa pneumatica, lieviti, filtri… Gravner ha imbottigliato per la prima volta nel 1973, nel 1982 ha compiuto il primo diradamento “con le critiche” di tutto il paese che lo considerava irrispettoso verso la provvidenza. Era quasi un reato sprecare uva che invece si poteva mangiare. Alla fine degli anni ottanta è passato alla coltivazione biologica. Quando ha deciso di cominciare a percorrere un nuovo ma, per certi aspetti, antico cammino nella coltivazione dell’uva e successiva produzione di vino? Tutto parte da un viaggio in California nel 1987, laddove Josko Gravner visitando varie aziende si rende conto che in cantina si faceva vino con aggiunta di aromi sintetici, da noi ancora sconosciuti. La sua lungimiranza lo induce a pensare che sicuramente, da lì a poco sarebbero arrivati anche in Italia, avrebbero rovinato la figura del vero contadino e soprattutto arrecato danni alla salute del consumatore, compreso se stesso. Decide immediatamente di dare un taglio netto a quanto fatto fino a quel momento…Gradualmente abbandona ogni sostanza chimica e dedica l’attenzione ai vitigni autoctoni, in particolare alla Ribolla gialla, escludendo gli internazionali. Riprendendo il discorso di come “fare il vino” Josko Gravner si convince di ritornare al sistema di vinificazione più antico del mondo, che risale a circa 8000 anni fa, quello nelle anfore…Da lì in poi tutto procede per sequenze.
Nel 1996 una grandinata distrugge il 95% del raccolto di Ribolla. L’annata, non in commercio, segna l’inizio della svolta del Vignaiolo e per certi aspetti, di una parte della viticoltura mondiale. Con il rimanente 5% Gravner fa un esperimento: Ribolla sulle bucce con lieviti aggiunti, ribolla sulle bucce senza lieviti, senza bucce con lieviti, senza bucce senza lieviti. L’obiettivo era ed è quello di ritrovare nel vino il sapore dell’uva.Quando assaggia la ribolla sulle bucce, senza lieviti aggiunti, finalmente Josko trova il gusto dell’uva nel vino, con grandissima soddisfazione giacchè la ribolla è un’uva difficile da lavorare. Da quel momento prende la decisione di vendere le vasche d’acciaio per iniziare la vinificazione in grandi tini. Nel ’97 la macerazione è stata fatta senza lieviti aggiunti, senza controllo delle temperature, con l’idea dell’anfora di cui ha sentì parlare una sera, da due grandi esperti… Si progetta un viaggio in Georgia, (Unione Sovietica) terra di anfore. Solo dopo quattro anni Josko riesce ad andare in Georgia ed ad avere un’anfora. Non poteva, allora, parlare di vino…Pensate che in Italia ci sono 400 diversità di uve, in Georgia ben 4000. Il vino per la grande commercializzazione è industriale, solo per il consumo familiare si usa l’anfora. L’anfora che arriva a Gravner è piccola, con una capienza di 250 litri. Solo in un secondo tempo si comprende che quell’anfora non era adatta per il vino. Infatti, la fermentazione si avviava ma il livello continuava a calare. Sembrava dunque che la prova fosse andata male ma Gravner decide di fare una cosa che no fa mai: assaggiare il vino. Era buono! Allora il problema era una altro. In Georgia quelle anfore, così piccole, fungevano da frigorifero, non per tenere vino, non erano coibentate. La soluzione era spalmare cera. Da allora Gravner ha cercato di tornare in Georgia; c’è riuscito nel 2000 alla ricerca di qualcuno che costruisse anfore. Non era semplice giacché le anfore, in Georgia, servivano per la produzione domestica nelle case contadine.È lungo il procedimento per fare le anfore.Sono necessari dai due ai tre mesi. L’anfora viene creata lentamente, l’argilla deve asciugarsi a fuoco lento e costante, altrimenti si rompe. Gravner ha trovato giovani che si sono dedicati a quella produzione artigianale ma bisogna ordinarle per tempo… Solo nel 2001 sono arrivate le prime anfore a casa Gravner. La cantina odierna è diversa da quella dei primi anni 2000…Dopo vari spostamenti oggi c’è la bottaia e la cantina con quarantacinque anfore che appare come un luogo di meditazione se non fosse che dopo quindici minuti di permanenza la Co2 potrebbe provocare mal di testa, come da lezione di chimica…
L’azienda Gravner non vuole essere certificata biologica o biodinamica. “Siamo contadini quindi necessariamente dobbiamo aver cura dell’ambiente” ci dice Mateja Gravner. Ciò non significa che non rispettino chi ha fatto scelte di certificazione…Sono passati alla biodinamica, da qualche anno utilizzano propoli e alghe riducendo del 40% lo zolfo e il rame che si usavano in vigna. Anche chi è scettico verso la biodinamica ne trae beneficio perché chi lavora con quei principi cerca di tutelare l’ambiente e questo fa bene a tutti…Ma quali sono i passaggi dell’uva, dalla vigna alla cantina, dalle anfore alle bottiglie?La vendemmia incomincia a ottobre; le uve, sanissime, vengono raccolte a mano. Portate in cantina, nelle anfore che sono interrate a una profondità di dodici metri , protette da pilastri che reggono la struttura; sul fondo rimane sempre la terra perché il clima si modifichi. L’uva non deve risentirne, l’ecosistema va mantenuto costante. Le anfore, che hanno uno spessore di massimo tre cm, prima di essere interrate, vengono coperte da uno strato di sabbia e calce, per creare una sorta di guscio protettivo.Le uve sono poste nelle anfore, è essenziale il contatto tra mosto e bucce. Il cappello non deve emergere, specialmente all’inizio è ricco di zuccheri, quindi potrebbe essere attaccato da muffe e batteri e prendere cattivi odori. Per questo si eseguono follature sei volte al giorno, dalle cinque del mattino alle ventitré, ogni tre ore. Ciò per tutta la fermentazione iniziale, quando questa si va esaurendo le follature diminuiscono, fino a una al giorno, fino a che non facciano la malolattica ( tutti i macerati la fanno).Il cappello rimane sotto, le anfore vengono coperte da un cartone fino a fermentazione ultimata.Dopo si coprono con pietre; tra la pietra e l’anfora si spalma un mastice enologico che crea una sorta di chiusura ermetica. Si aspetta marzo/ aprile, quando, secondo la luna, si procede con la svinatura. Il vino torna in anfora, senza bucce, fino a settembre. Poi passerà in botte.
Il 6/7 settembre 2016 è stata imbottigliata l’annata 2009 e il 2015 ha iniziato l’affinamento…Dalle anfore passerà in botte dove trascorrerà sei anni.
I vini in anfora non hanno comportamenti codificati. Ad esempio per l’annata 2014, piovosa e fredda, si aspettavano fermentazioni lente e stentate, invece l’ultima fermentazione malolattica, con vendemmia al 1°ottobre, è finita il 2 gennaio. Per il 2015, in cui ci si aspettava fermentazioni più veloci, l’ultima fermentazione è finita ai primi di febbraio. E’ la Co2 che si ferma nelle anfore, poiché è più pesante dell’aria, ad avviare e proteggere la fermentazione.
Ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere Josko Gravner nel 2003, quando da entusiasta e fresca di diploma da sommelier fui piacevolmente coinvolta dall’allora Delegata Ais Gorizia Sandra Tavagnacco in una serata dedicata ai vini di Josko Gravner, svoltasi nell’Enoteca di Cormons preceduta da una visita in cantina…
Due i vini in degustazione a conclusione della visita: Bianco Breg 2008 e Ribolla 2008. Due vini color ambra, come la famiglia Gravner preferisce definirli.
Il Bianco Breg 2008 da uve Sauvignon in maggior percentuale, Pinot grigio, Chardonnay e Riesling Italico, dopo una lunga macerazione nelle anfore con lieviti indigeni è stato svinato e torchiato per tornare in anfora per circa 5 mesi; alla fine del periodo in anfora è stato trasferito in botti grandi di rovere, dove ha trascorso sei anni…Di color giallo ambra così brillante che quasi abbaglia. Raccontandolo, seguendo mentalmente una scheda di degustazione diciamo che è limpido e consistente, fine e intenso al naso, etereo con sentori di frutta secca, uvetta sotto spirito e non solo: il vino è secco, sapido, fine, con tannini morbidi. Un Bianco Breg ancora in movimento ma che lascia chi lo assaggia in uno stato di tranquillità mentale, quasi di contemplazione e in attesa di altre emozioni con il sorso successivo.
La Ribolla 2008, un’annata con frequenti piogge ma uve belle. Le precipitazioni autunnali hanno favorito lo sviluppo di botrite nobili: vendemmia conclusa il 27 ottobre con la Ribolla, a parte una selezione lasciata sulle piante fino al 3 novembre. Gli intensi riflessi ambrati, trasportano al naso profumi che fanno pensare al miele, ai datteri, a frutta secca…La tannicità setosa si unisce alla mineralità creando un equilibrio e un’armonia perfetti. A tutto ciò si aggiunge una persistenza lunghissima…
I vini sono offerti in una coppa di cristallo, fatta realizzare da Josco Gravner. Nulla è lasciato al caso. “Bere vino in una coppa è molto più intimo…Si crea un legame tra la bevenda e il lavoro che c’è dietro”… L’idea è venuta dopo la visita di Gravner in Caucaso nel 2000 quando visitò in un monastero di Tblisi. I monaci, dopo aver accolto il visitatore con canti sacri, gli offrirono vino in una coppa di terracotta. La scelta del cristallo è più pratica , la coppa consente comunque di apprezzare il vino in modo diverso, con una sensazione quasi consolatoria…
Mateja Gravner è stata una deliziosa ospite ma abbiamo avuto anche il piacere di salutare suo padre Josko, dalla presenza discreta anche in casa propria, con il quale abbiamo scambiato “due chiacchiere” che ci hanno ancor più illuminato. Grazie.
Giuditta Lagonigro
con Renzo Badalini,Giuseppe Clapiz, Marco Furlan, Livio Gervasio, Janja Korsic,Sandra Tavagnacco.
N
Mi è venuta la pelle d’oca
Lieta che Le sia piaciuto l’articolo ma soprattutto la storia della Famiglia Gravner!