Negli ultimi tempi, lentamente nel nostro gruppo, si è affacciata una nuova passione per i vini cosiddetti naturali. Vuoi la posizione geografica che ci pone dirimpetto ad alcune delle più belle realtà vitivinicole di questo settore, vuoi l’indomita curiosità bevereccia della Poliphenolica, volenti o nolenti ci siamo trovati a fare i conti sempre più spesso con questa variegata realtà. Parto dal preambolo che la definizione “vini naturali” è una licenza che mi concedo per semplificare la complessità di un mondo estremamente sfaccettato, la cui definizione è resa complessa dai molti interpreti che lo compongono. Per semplicità quindi userò il termine “vini naturali” per circoscrivere una galassia di pensieri, pratiche e filosofie spesso discordanti ma con la caratteristica di essere tutte a modo loro interpreti del proprio territorio. Probabilmente è proprio nella peculiarità del rapporto con la terra che risiede il minimo comune denominatore dei vignaioli naturali. Le sigle sono già tante, probabilmente troppe e non ci aiutano più di tanto nel circoscrivere l’entità del fenomeno “vini naturali”.
Recentemente il mercato del biologico, dei prodotti naturali e dal basso impatto ambientale ha riportato sempre maggior credito con il consumatore. Sempre più alta è l’attenzione di quest’ultimo verso la provenienza e la salubrità dei prodotti e sempre in crescita l’offerta dei prodotti “bio” sugli scaffali dei supermercati. Ritengo che questa tendenza sia testimonianza di una rinata consapevolezza al consumo e più in generale, di un movimento culturale che non vuole procedere allo stesso passo della modernità. Dando per scontato la stretta parentela tra “spesa” e “cucina”, si può assumere che sta nascendo timidamente una risposta alla cucina frettolosa dello yuppismo anni ’80 e a quella delle massaie circuite dalla pubblicità degli scatolami e dei surgelati. Oggi più che mai è’ percepibile la crepa che si è insinuata nella buona fede ottimistica del consumatore dell’altro secolo.
Il neo positivismo innescato dal boom economico che cinquant’anni fa riempiva i frigoriferi (elettrodomestico simbolo del boom) di beni mai visti prima e nutriva la fiducia della gente con neonati bisogni, sta implodendo in una sfiducia diffusa. E’ utile ricordare di come la cucina si sia trasformata da luogo in cui la tradizione culinaria era tramandata oralmente da madre in figlia, a luogo di costrizione e tribolazione. Finiva l’era della fatica in cucina grazie ai nuovi elettrodomestici, e iniziava l’era della cucina veloce. Le promesse di quel mondo ora stanno svanendo, il consumo non è più sostenibile con i criteri prefissi al tempo: il mercato non è il galante salumiere con i baffoni e la mortadella nella carta oleata, il pianeta non sopporta più lo sforzo imposto dall’industria alimentare (e non solo quella),le malattie e le disfunzioni metaboliche collegate all’alimentazione impazzano. In parole povere, il delirio positivista dell’altro secolo sta svanendo a favore di uno scetticismo diffuso e di una nascente consapevolezza alimentare e al consumo.
Perché questo lungo preambolo se devo parlare di vino? Perché sono convinto che la risposta in ambito enologico a questi dilemmi d’inizio secolo sia data dai vini naturali. Naturalmente la diffidenza verso questi prodotti è tuttora percepibile nel consumatore, malgrado forti segnali di crescita di tutto il settore natural-bio-salutistico. Per rilevare questo fenomeno nella sua complessità bisogna notare che, se da un lato c’è il consumatore con le sue aspettative, dall’altro lato esiste il produttore, la sua attività e la forza delle sue idee. Ora si possono incontrare con facilità viticoltori che hanno fatto della loro attività un credo.
Responsabilità, sostenibilità, amore per la terra, e salubrità sono gli ideali che accomunano la maggior parte di queste persone. Parlare con uno di loro è sempre un viaggio in mondi fatti ancora di teorie e sogni. Da questi incontri si capisce perché vinificare in modo naturale, spesso significa complicarsi la vita, perché coltivare responsabilmente comporta il raddoppio degli sforzi in vigna e perché vendere il proprio sogno in una bottiglia è una lotta contro il mercato. Eppure per il novizio come per l’assaggiatore esperto un incontro con questi viticoltori è sempre un’esperienza peculiare. Ricollego questa tendenza dei vini naturali al rapporto tra la domanda di genuinità del consumatore e l’offerta di un prodotto ottenuto tramite la riscoperta dell’ancestrale rapporto con la terra. In questa riscoperta noto la capacità dei vignaioli di farsi interpreti della realtà e prefigurare, al pari con gli artisti, il proprio mondo. Atteggiamento in cui c’è una tendenza propria della contemporaneità: il rendersi meno invasivi possibile verso la natura. L’uomo, il vignaiolo, non più presenza ingombrante e dominante che manipola e “addomestica” il vino ma una figura che tende ai margini della scena e lascia parlare la natura e la terra. Le fermentazioni naturali, possono così lasciare spazio al territorio di esprimersi liberamente con spontaneità, lasciando emergere rispettosamente il carattere del vino, spostando in secondo piano l‘ego dell’enologo. I lieviti indigeni e le fermentazioni naturali preservano il temperamento e la varietà dell’uva. Le tecniche di cantina senza ausili di correzioni e additivi, e la parsimonia nell’uso dei solfiti uniti a pratiche di vigna, spesso biodinamiche, donano una salubrità insuperabile al vino. La presenza delle bucce nella fermentazione, anche nei vini bianchi, conferisce al vino quelle qualità e quella completezza che erano andate perdute nel tempo, per ottenere un prodotto in cui tutte le parti dell’uva contribuiscono alla risultato finale. D’altra parte perché rinunciare ai preziosi polifenoli? La natura stessa ha fornito la risposta alla vinificazione: nell’uva c’è tutto quello che serve. Non serve aggiungere né togliere, basta ascoltare cosa la natura ci sa raccontare e sentire cosa hanno da dire quelli che la natura la ascoltano.
Livio Gervasio
Abbiamo assaggiato a Cerea (Vr)- Vini Veri (vini secondo natura) 24/25/26 marz0 2012
Batic:Rebula (Ribolla Gialla)2008/2009,Sivi Pinot (Pinot Grigio)2008/2009;Cappellano Dr. Giuseppe: Rupestris, Barolo DOCG 2007;Castello di Lispida: Anphora, Bianco Bianco 2009- Terralba Bianco 2009; Fattorie Romeo del Castello: Etna 2009, Vigo Etna Rosso Doc 2007, Vigo Etna Rosso Doc 2008; Klinec :Rebula, Tocai; La Castellada: Collio Ribolla Gialla 2007, Collio Friulano 2007, Collio Pinot Grigio 2007, Collio Sauvignon 2007; Paolo Bea:Pagliaro Montefalco Sagrantino DOCG 2007; Oasi degli Angeli: Kupra 2009, Kurni 2010; Ferrandes: Passito di Pantelleria DOC; Ramaz Nikoladze e Bis Marani: Tsitska 2010, Tsolikouri 2010; Chapuis & Chapuis: Les Chaillots, AOC Cote de Nuits Village 2010, Sous le dos d’ane AOC Saint Romain 2010; Vigneto Saetti:Lambrusco Salamino di S. Croce DOP, Rosato dell’Emilia IGP, Rosso dell’Emilia IGP;Morella: Mezzanotte-Primitivo/Negroamaro IGT Salento.
Abbiamo assaggiato a Izola (Slo)-Orange Wine Festival -20 aprile 2012
Borc Dodòn: Verduzzo friulano 2003, Uìs blancis 2006; Brandulin: Rebula 2006, Belo 2007; Clai: Ottocento bijelo 2009, Malvazija Sv. Jakov 2010; Čehovin: Kanarjola 2005, Malvazija 2009; Emil Tavčar: Vitovska 2006, Malvazija 2007; Fon: Malvazija 2009, Vitovska 2009, Malvazija 4 stati 2010; Franco Terpin: Sialis Pinot Grigio 2006, Jakot 2007; Gordia: Malvazija 2008 e 2009; JNK: Zvrst Sv. Mihael 2006, Jakot 2006, Rebula 2007; Kabaj: Amfora 2006, Rebula 2009; Klabjan, Malvazija 2006 e 2007; La Castellada: Ribolla gialla 2007, Bianco della Castellada 2007, Chardonnay 2007; Mlečnik: Rebula 2007, Chardonnay 2006 e 2007; Movia: Lunar Rebula 2007; Pietra (Marko Tavčar): Malvazija 2009; Radikon: Rebula 2006, Oslavje 2006, Jakot 2006; Raspopović: Malvazija 2006; Renčel: Cuvée 2008; Rodica: Malvazija natur 2005; Rojac: Stari d’or belo 2008, Malvazija 2009; Roxanich: Malvazija antica 2008, Chardonnay milva 2008, Ines bijeli 2008; Stemberger: Chardonnay 2005; Zidarich: Malvazija 2009, Vitovska 2009; Vodopivec: Vitovska 2009; Damjan Podversič, Kaplia 2008; Aci Urbajs: Organic Anarchy 2009.